Appare impresa ardua, almeno un’operazione complicata, riuscire a inquadrare in un contesto verosimile il tema dell’immigrazione nel nostro Paese, riferito agli sbarchi marittimi ripetutisi negli ultimi anni nel canale di Sicilia con l’orribile, non meglio quantificata strage di morti annegati, molti dei quali rimasti nei flutti del Mediterraneo. La percezione di un fenomeno grave, amplificata da un’incessante mole di notizie quotidiane, supera notevolmente la conoscenza delle cause che sono all’origine di questo dramma epocale, soprattutto delle storie degli esseri umani coinvolti, in gran parte vittime di condotte spietate perpetrate da altri esseri umani non sempre stranieri, non sempre lontani dai nostri luoghi quotidiani, dai nostri costumi, dalla nostra cultura. Tocca ancora al lavoro di alcuni giornalisti di approfondimento, autori d’inchieste, inviati e contaminati nei luoghi consumati dai migranti, nei teatri della sofferenza, in mezzo al mare o sulle banchine di approdo, nei centri di accoglienza (o detenzione), raccontare visioni diverse dalle nostre, documenti non sempre fruibili a un’opinione pubblica sempre più spaventata o infastidita.
Risponde a queste domande, dando una chiave di lettura utile per le vicende che si susseguono in questi giorni, il saggio di Cristina Giudici, Mare Monstrum Mare Nostrum, dato alle stampe nel luglio del 2015 per i caratteri di UTET edizioni. Nonostante siano trascorsi tre anni dalla sua uscita, il testo si rivela uno strumento essenziale in un’interpretazione laica che esplora lati oscuri del fenomeno condividendo lunghissime giornate di vita e lavoro con alcuni protagonisti impegnati da lustri nel contrasto all’immigrazione clandestina e al vasto indotto di criminalità a esso collegato.
Nei dieci capitoli del volume la Giudici svela una realtà complessa e aggrovigliata che evolve prima e dopo le più note scene drammatiche proposte dai media circa le disperate traversate marittime, i salvataggi effettuati in mare dagli uomini della Guardia Costiera, gli sbarchi sulla terraferma nei bivacchi delle banchine dei porti siciliani. Visioni apparentemente tutte uguali con i convogli di materiale umano riversati a Lampedusa o Pozzallo, Porto Empedocle, Augusta o Catania. Il reportage della Giudici, redattrice del Foglio, già vincitrice del Premio Maria Grazia Cutuli nel 2005 (con L’Italia di Allah – Bruno Mondadori), vive nell’ingaggio durato alcune settimane in una particolare squadra operativa, coordinata dalla Procura di Siracusa. In particolare con il sostituto commissario della Polizia di Stato Carlo Parini, responsabile del Gruppo interforze di contrasto all’immigrazione clandestina noto come GICIC. Nello straordinario pool, unico in Italia nel suo genere, oltre a diversi uomini appartenenti a più corpi militari operativi (inclusi guardia di finanza e guardia costiera) vi partecipano alcuni immigrati impegnati soprattutto in incarichi di traduzione e relazioni con i profughi tratti in salvo. Nell’attività primaria di caccia agli scafisti e al contrasto delle organizzazioni criminali radicate sulle coste africane, colluse con le mafie nostrane, emerge il profilo più prezioso, il marocchino Aziz, brillante “detective kebabbaro”. Avanza una fitta trama d’investigazioni e indagini giudiziarie che superano i confini nazionali e seguono le vie improbabili di personaggi senza scrupoli che alimentano il traffico di umani, in scenari orribili di guerra e inciviltà. Le tele ricostruite dal lavoro dell’autrice impegnata a braccare la “strana coppia” (Parini – Aziz) dalle non comuni doti umane e di resistenza al logorio fisico, sprezzante per il pericolo, in tante operazioni estreme, consegna un quadro inedito. Dove emergono soprattutto le doti legate a singole espressioni d’impegno personale e dedizione. Personalità forti dai caratteri non sempre concilianti che muovono iniziative dove il perimetro legale e istituzionale non sempre può coprire decisioni rapide legate al buon senso dell’obiettivo comune. Testimonianze che confermano l’essenza di determinati risultati dipendenti dalla particolare competenza di uomini che rimangono unici, talvolta isolati nel loro lavoro in ogni caso decisivo. Così Carlo Parini, senza apparire l’eroe fra mondi contrapposti, può risultare valoroso alle sue strutture gerarchiche come un don Andrea Gallo a Genova risultava tale alle gerarchie porporate. Di qui si comprende l’unicità del “modello Siracusa” come in ambiti analoghi è unico il “modello Riace” di Mimmo Lucano (http://www.networknews24.it/2017/10/28/mimi-capatosta-lutopia-della-normalita/). Il prezioso contributo della Giudici (ispiratrice di un nuovo progetto di ampio respiro dedicato a una corretta presa di coscienza delle migrazioni contemporanee – https://radici.online/ ) conferma come l’impegno quotidiano di tutte le risorse istituzionali in campo (decisivi i contributi e le aperture delle Procure di Catania e Siracusa con i relativi responsabili) debba essere esplorato e diffuso secondo corrette e opportune coordinate evitando scorciatoie strumentali che aumentano fatalmente le discriminazioni sociali e culturali non solo nel nostro Paese.
( fonte : http://www.networknews24.it/2018/06/23/mare-monstrum-mare-nostrum-non-solo-immigrazione/ )