“La frontiera, nell’accezione americana (ove il Jazz si è, almeno inizialmente, sviluppato) è sinonimo di territorio inesplorato ove trovare nuovi stimoli attraverso l’incontro con nuove culture, nuovi spazi, ove l’unione con nuovi affluenti rende il fiume principale sempre più grande, potente e inarrestabile.” La citazione, stralciata dall’introduzione di Enrico Merlin, consegna una chiave efficace alla lettura di un nuovo saggio illuminante sui legami fra etnia, territorio e musica colta, il Jazz in questo caso.
Claudio Loi ci ha abituato nelle sue esplorazioni sul rapporto atavico fra Jazz e Sardegna, a scoprire ogni angolo dell’isola, foriera di ambienti naturali inediti quanto di potenziali nuovi percorsi musicali. Strettamente legati alle forme di musica popolare fra le più antiche mai conosciute. Sin dal suo primo libro, L’isola dei dischi, Aipsa 2008, senza poter dimenticare i contributi di una straordinaria trilogia (Sardinia Jazz Aipsa 2010 – Sardinia Hot Jazz Aipsa 2011 -Glocal Jazz Aipsa 2013 –
vedi http://caratteriliberi.eu/2014/02/10/cultura-e-societa/esegesi-del-jazz-sardo-uno-scrigno-di-primizie-pregiate/ – ) o la struggente biografia dedicata al batterista Billy Sechi (Billy !Aipsa 2015), l’esegeta musicale percorre con una recondita curiosità le migliori incisioni riferite al Jazz Sardo e ai suoi autori e protagonisti.
Il suo ultimo lavoro, Sardegna, Jazz e dintorni – Aipsa 2018, è una ricerca accurata realizzata e scritta a quattro mani con il giovane giornalista cagliaritano Simone Cavagnino, e la collaborazione di Giacomo Serreli.
Il corposo volume, ricco di oltre seicento pagine con un’ampia galleria fotografica curata da Giulia Capobianco, Flavia Matta e Paolo Piga, non poteva vivere un battesimo migliore nell’ultima edizione 2018 del festival Time in Jazz, a Berchidda lo scorso quattordici agosto. Da allora, dopo la replica due settimane dopo al Festival Nuoro Jazz, il libro è divenuto rapidamente una summa di riferimenti importanti in tutte le librerie, non solo musicali o dell’isola.
Il progetto del volume, avviato qualche anno fa, riunisce una serie d’interviste realizzate da Simone Cavagnino, autore, conduttore televisivo e radiofonico, esperto nelle dinamiche musicali dell’isola. L’incontro con Claudio Loi ha messo in campo un racconto puntuale del Jazz in Sardegna, attraverso le esperienze personali e le testimonianze dei protagonisti.
Impossibile citarne tutti e in ogni caso non avrebbe senso rispetto alla valenza del libro.
Utile certamente a ricordare e definire le radici del Jazz made in Sardegna tracciate non solo dai nomi più noti come Paolo Fresu (indiscutibile motore di un movimento musicale internazionale) o Paolo Carrus per citarne uno fra i primi incontrati nello scorrere le pagine.
La ricerca condotta dagli autori sviluppa dei paralleli essenziali per approdare alle definizioni contemporanee del Jazz e dei suoi molteplici e innovativi linguaggi.
Il rapporto ancestrale tra Jazz e tradizione sarda è bene introdotto nelle pagine firmate da Giacomo Serreli.
Da questi semplici ma indispensabili concetti derivano le esperienze dei musicisti Sardi e stranieri che hanno incrociato le vie o i sentieri dell’isola respirandone umori e sapori.
Confutato il comune gusto di una particolare vocazione del territorio come scrigno antico di suoni arcaici e trasmessi dalle generazioni legate ai lavori campestri, la condizione ambientale e oggettiva legata all’insularità è un altro tema dirimente e discriminante secondo le diverse personalità e sensibilità dei protagonisti.
Classificati più che divisi, in coloro che hanno lasciato l’isola per stabilirsi definitivamente nella penisola o all’estero. Sardi di nascita che vivono stabilmente nell’isola (Gavino Murgia o Enzo Favata) e Sardi adottati che hanno trovato nell’isola la loro “America” o il luogo adatto alla realizzazione delle proprie aspettative. Non un paradosso ma un dato di fatto nella luminosa testimonianza della musicista fonica Marti Jane Robertson, originaria di Seattle, stabilitasi, dopo varie esperienze internazionali a Cagliari dove dirige il suo Jane Studio, incubatore dell’etichetta discografica MGJR Records.
Tanti gli arricchimenti dall’esterno, compreso l’intervento di Peter Waters. Esperienze tutte che ricordano i racconti dei viaggiatori scrittori giunti nell’isola sin dall’Ottocento e che in ogni caso hanno avviato quel processo di confronto e scambio, decisivo nei linguaggi artistici, ancor più nella Musica. Nel Jazz made in Sardegna i precursori non sono catalogati come “padri nobili” di modelli conservativi. Proprio il ruolo delle scuole di formazione e dei Conservatori Italiani costituisce un’altra leva irrinunciabile per il confronto e l’evoluzione dei contenuti. Per questo i vari Marcello Melis, Roberto Billi Sechi, Luigi Lai, Paolo Angeli, Paolo Fresu, Pinuccio Sciola, rivestono modelli di partenza per tanti colleghi giovani e meno giovani, italiani o stranieri. Il libro propone anche una serie di playlist, un catalogo di brani guida che facilita l’approccio per l’approfondimento da parte del lettore.
Sardegna, Jazz e dintorni, si configura come un’opera omnia, un faro che illumina molti quartieri poco noti rispetti alle vie stellari d’oltreoceano. Un’operazione verità che prendendo in prestito ancora la prefazione di Enrico Merlin, potremmo terminare così:
“Questo dovrebbe essere il Jazz oggi, non la musica priva di vita, bacheca autoreferenziale di stilemi triti e ritriti dai contorni muffiti, che spesso viene spacciata come il verbo nella maggior parte delle rassegne nazionali e internazionali.”.