Nella chiusura sociale della pandemia le aperture degli ultimi con Milena Agus.
“In piedi, davanti all’armadio, pochi giorni prima avevamo pensato al guardaroba, estate sopra, inverno sotto. Finito il lavoro provammo la soddisfazione che ogni cosa fosse al suo posto, e invece da allora in poi non sarebbe stato piú a posto niente. Gli invasori arrivarono e ci colsero impreparati. Se l’avessimo saputo, davvero il cambio degli armadi sarebbe stata l’ultima cosa”.
L’incipit nel primo dei venti capitoli, scritti col respiro fiabesco del tempo sospeso, introducono il lettore in uno scenario fantastico e antico dai risvolti contemporanei e reali.
È questa la cifra dell’ultimo romanzo di Milena Agus, Un tempo gentile, pubblicato da Nottetempo, in libreria da circa un mese, dopo la sospensione dell’uscita primaverile causata dalla quarantena imposta dal coronavirus.
Coerente alle ambientazioni tipiche dell’entroterra campidanese, la scrittrice di origini sarde, già insegnante di Italiano e Storia negli istituti di scuola medie superiore di Cagliari, protende il suo sguardo oltre i recinti ristretti delle piccole comunità dell’interno isolano.
Rispetto alle esplorazioni di un mondo nuovo, intrapreso dai protagonisti del suo ultimo romanzo edito nel 2017 ( Terre promesse– Nottetempo http://caratteriliberi.eu/2017/09/09/recensione-libri/terre-promesse/#!prettyPhoto)
nelle trame del Tempo gentile, è il mondo nuovo e diverso a sbarcare in Sardegna e coinvolgere un micro e vetusta comunità isolana. Quest’ultima, paradossalmente, tramuta per i nuovi arrivati in un arco temporale limitato, in quella terra promessa, visitata nel precedente romanzo già ricordato.
Il fenomeno dirompente dei flussi migratori è mirabilmente cifrato nel messaggio iconico che domina la copertina del libro. L’immagine sfocata di due donne che si tengono per mano in una particolare posa alternata, svela l’essenza della prosa che rimarrà impressa al lettore. A prescindere dal piacere personale rispetto ad una narrazione non sempre lineare o ammaliante.
Le asperità e lo sconcerto emergono repentinamente nell’incontro insolito e inaspettato che avviene in una frazione perduta di un luogo abbandonato e malmesso fra i residenti e la colonia d’immigrati di colore, da subito riconosciuti come “invasori”.
Lo stato di disagio e sofferenza è segnato da terribili violenze e vessazioni subite, dopo avere scampato alla morte nei flutti del mare, durante le disperate traversate. Una condizione inumana che supera di gran lunga in una surreale sfida d’indigenza, la misera condizione della maggioranza dei pochi e ostili paesani del luogo.
Riluttanti al pensiero di constatare un antico e ampio casolare, divenuto col tempo e noto a tutti come il “Rudere”, occupato dalla schiera di pericolosi intrusi dalla pelle scura e dalla lingua sconosciuta.
Nelle due opposte fazioni si posizionano profili e figure dalle personalità bizzarre e complicate che renderanno inevitabile una complessa e reciproca conoscenza.
Piccoli segnali di avvicinamento dettati da una naturale irrefrenabile curiosità tutta femminile che conquisterà metri quotidiani sino alla definitiva “presa” del Rudere.
Con i primi passi verso una graduale socializzazione con i fedeli ortodossi di Allah.
Un processo di cauta integrazione considerando la netta dissociazione dei mariti delle audaci progressiste insieme a una consistente quota d’irriducibili oltranziste, renitenti ad alcuna relazione con gl’invasori.
L’alternarsi delle stagioni popolerà il Rudere con le frequentazioni quotidiane di alcune ostinate signorine oramai rassegnate a irrimediabile solitudine. Rinate dalle nuove conoscenze grazie alla mediazione di alcuni volontari colti, provenienti dalla città e votati ad una vita diversa da canoni e stereotipi. Non fosse altro per la scelta di convivere con gli ultimi e i profughi delle terre martoriate.
Giardini pensili e piccoli continui lavori di ristrutturazione accenderanno nuovi colori estetici e inedite emozioni di sentimenti ignoti.
Difficile non ricordare nella finzione narrativa della Agus, elementi contemporanei e reali vissuti e istituzionalizzati in contesti reali e analoghi del mezzogiorno d’Italia.
Il primo laboratorio sul ripopolamento con la costruzione di un variegato consorzio umano è il “tempo gentile” vissuto a Riace con il modello di Mimmo Lucano, noto in tutto il mondo.
(http://www.networknews24.it/2017/10/28/mimi-capatosta-lutopia-della-normalita/)
Revocato bruscamente da iniziative giudiziarie ancora non definitivamente terminate.
Esperienze cruciali che se da un lato non risolvono la vita di milioni di migranti, ci confermano che i grandi disequilibri demografici e le diseguaglianze più grandi possono guardare con un significativo sollievo alle piccole comunità. Capaci in una mutua reciprocità di costruire nuova umanità.