Napoli sepolta.

La ricerca della vita con le intercessioni ultra terrene. 

Il viaggio partenopeo di Ulrich Van Loyen.

“Se i capitoli precedenti incentrati, incentrati sul culto napoletano dei morti, hanno richiamato la “possibilità di una città”, è perché Napoli, nella sua topografia, nella sua geologia, nelle sue pratiche rituali e culturali, presenta gli elementi di una vita urbana, di una città, o meglio, della città per eccellenza, ma li lascia in una condizione precaria, di possibilità appunto. Quindi non c’è mai niente di particolarmente nuovo, né la tradizione si perde mai completamente.”.

Le note di apertura sono stralciate dall’ultimo capitolo di un prezioso saggio, frutto di altrettanto lavoro di ricerca.  Napoli sepolta è il titolo del libro scritto dall’etnologo tedesco Ulrich Van Loyen, distribuito dallo scorso autunno 2020 per i caratteri di MELTEMI.       

Forte di oltre quattrocento pagine tradotte da Massimo De Pascale, corredato di una fine raccolta fotografica curata da Anja Dreschke e dotato di una puntuale bibliografia; il testo documenta un “diario di campo” nell’emisfero liminale popolato dalle persone semplici.

Cresciute con il culto dei morti, praticato con modalità più o meno accentuate in un’atavica devozione per le “Anime del Purgatorio”.

Puntuale riferimento ultra terreno alleato nelle vicissitudini quotidiane. Comunemente critiche o segnate da sofferenze non reversibili.

I reportage dei viaggiatori in esplorazione nella Partenope ai piedi del Vesuvio suscitano spesso nuovi orizzonti e valori aggiunti in una lettura più ampia e plurale dei costumi, della cultura locale. Un riflesso spontaneo mi associa per brevi tratti al recente caso editoriale di Heddi  Goodrich

(https://www.laltraribalta.it/2019/05/09/perduti-nei-quartieri-spagnoli-napoli-cuore-del-dialogo/).

Ulrich Van Loyen
Immagine tratta dalla pagina facebook

Il lavoro scientifico, brillantemente divulgativo in una nemesi storica che rifugge da giudizi sospesi, si snoda in ambienti diversi, uniti in un corpo variegato e unico.   

Vasi comunicanti in un labirinto variopinto non sempre a tinte chiare, percorso con il passo disinvolto di un professore aggregato. Curioso l’approccio quanto trasparente e meticoloso.

Pronto a cogliere l’ospitalità semplice dei tanti interlocutori incontrati. Senza usurparne segreti intimi o inviolabili. Con l’umiltà di instaurare rapporti di reciproco dialogo e rispetto.

Nei quattro capitoli che precedono la conclusione di Van Loyen, la monografia visita altrettanti quartieri popolari della città. Luoghi che ospitano chiese e siti dove la venerazione di reliquie delle persone scomparse – non solo i santi riconosciuti nel calendario dalla chiesa cattolica -, declina in un rapporto complesso, tramandato nelle generazioni.

 I quartieri Sanità e Secondigliano sono i luoghi prediletti e battuti dall’autore.

Integratosi con la gran parte dei residenti, spesso guide esclusive nei luoghi sacri.  Promosse in un albo immateriale senza alcuna istruzione accademica se non quella di una militanza attiva. Formatasi nella scuola di famiglia ricca di profili auto referenziati come detentori di speciali virtù.

Carismi riconosciuti (veggenti, vedove sensitive) con una branca specialistica di quell’universale facoltà ”nell’arte di arrangiarsi”. Ruoli infarciti di pratiche esoteriche quando non certamente pagane.   

Il rapporto dei “fedeli” con gli ecclesiastici, i parroci di quartiere, alcuni dei quali incontrati dallo stesso ricercatore di Dresda, sconta una ricerca arrangiata negli equilibri socialmente sostenibili.

La necessità della Chiesa locale di porre i necessari perimetri del Magistero assume posizioni eloquenti come ricordano queste note tratte dal primo capitolo:

“Corrado Ursi, arcivescovo (1966-1987) di origine pugliese chiamato a imporre i precetti del Concilio Vaticano II nella diocesi, il 26 luglio 1969 emanò un decreto con cui bandiva il culto dalla vita pubblica. Il “Tribunale ecclesiastico per le cause sei santi” dichiarò che “i resti ossei umani variamente classificati” venerati nelle cripte non dovevano essere identificati con “persone dall’esistenza storicamente certificata la cui santità potesse essere dimostrata”, ragion per cui la cura a essi dedicata era “arbitraria, superstiziosa e in definitiva inaccettabile”.   

Un’esigenza dettata dal quotidiano presidio di chiese e ipogei antichi di grande importanza storica. La Basilica di San Pietro ad Aram, risalente alla fine del milleseicento, è il caso più clamoroso.

Con le sue catacombe, ritrovo quotidiano di pratiche religiose dedite alle ”anime del Purgatorio”.  Attività analoghe a quelle promosse al Cimitero delle Fontanelle nel cuore del Rione Sanità.

Il popolo di Napoli sepolta vissuto e narrato da Van Loyen è una fronda che si spande dai bassi e dalle palazzine dei vicoli ornati di murales che ritraggono antichi e nuovi “venerabili”.

Personaggi scomparsi, anche in giovanissima età, che secondo le “gesta virtuose” consumate in vita, meritano (secondo cotanta filiazione) altarini e cappelle votive.

Opportunamente installate in deroga a ogni eventuale norma attinente la proprietà di spazi pubblici, compatibili al decoro urbano.  Il pensiero alle famiglie contigue al malaffare o alla criminalità è breve ma non fuorviante. La contaminazione con una società civile  trova una sua sponda politica di riferimento. Così come la comunità di credenti praticanti, coerente ai canoni liturgici del Concilio Vaticano Secondo, si riconosce in un  proselitismo diffuso.

In entrambi gli ambienti l’adesione converge naturalmente verso movimenti politici o religiosi di matrice populista con una fisiologica partecipazione dal basso.    

Fenomeni vincolanti in un patto socio economico riconosciuto nel composito associazionismo connesso al corporativismo marianofujenti e battenti – della Madonna dell’Arco di Sant’Anastasia. Un antico, vasto sodalizio, prorompente con le numerose processioni del Lunedì in Albis a Pasquetta.

Se la visione storica di Paolo Macry

( https://www.laltraribalta.it/2019/01/01/napoli-nostalgia-di-una-citta-immaginaria/)

esprime una consapevolezza autoctona, il focus luminoso di Ulrich Van Loyen conferma la perenne contraddizione non risolta nel Regno di  Napoli.

Ulrich Van Loyen
Immagine tratta dalla pagina facebook

Dove tolleranza e modernità contendono tradizione e intransigenza.

 Un ballo quotidiano di fragile convivenza fra gioie e dolori.     

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