“In fondo ognuno ricorre l’idea di felicità che si è costruito da piccolo. La mia aveva il sapore della marmellata fatta in casa, il suono ritmato dei tasti di una macchina per scrivere, e l’odore di resina dell’albero di Natale.”
La citazione stralciata alla pagina centotrenta di questo romanzo che ne conta poco più di trecento, risponde in parte al titolo dello stesso libro.
Accattivante e invitante, con una indovinata copertina dove il blu dipinto di blu, predomina fra lo specchio di mare del golfo reale.
“Qui dove il mare luccica e tira forte il vento su una vecchia terrazza davanti al golfo di Surriento…” e il Vesuvio che si staglia sereno, quasi svogliato all’orizzonte.
L’empatia che sprigiona il pregevole combinato d’immagini richiama le note eccelse di Lucio Dalla nel progetto grafico firmato da Jorn Rynio.
Un messaggio al cuore che cattura anche l’occhio assorto in libreria di una qualsivoglia lettrice o lettore, preso in una ricerca virtuosa.
“L’invenzione della felicità” di Benedetta Gargano è un felice (il caso di ribadire l’agognato attributo) rimedio narrativo.
Edito dallo scorso maggio con i caratteri di Solferino editore.
L’invenzione narrativa della Gargano, una consolidata esperienza di sceneggiatrice alle spalle, è quella di tenere il lettore vivo in un lungo percorso urbano, reiterato nei giri sino all’ultima pagina.
Il “brevetto” adottato dalla esordiente romanziera nella scoperta del senso della vita, declinato in quel termine quasi temuto ai più, diviene il fine decisivo di un fantastico memory.
Vero, crudamente reale, quanto allegro e inedito. Un gioioso paradosso centellinato in più ossimori quotidiani.
Dove lo scambio dei ruoli, protagonisti nella nostra società digitale e liquida, s’inverte senza remore e falsi pudori.
Uno scenario irrinunciabile dove i surrogati virtuali, normalmente demonizzati con bigotto fervore, risultano vincenti rispetto alle certezze di convenzioni e corpi psicofisici rassegnati allo scorrere dei calendari.
Ben assortiti solo in una logica novecentesca dal ripiego accomodante.
Al lettore che sorriderà spontaneamente, giunto alla lettura dei ringraziamenti, non bisogna aggiungere altro. Cosi come per gli altri che ci arriveranno con uguale trepidazione.
“Una vita piena di novità” e la disponibilità quasi inconsapevole, o meglio, il coraggio di uscire dai gangli di un contegno stantio, cristallizzato nell’età matura.
L’essenza semplice ma non scontata, emerge dalla narrazione, un romanzo di formazione che ripercorre il sentiero della vita della stessa autrice.
Un progetto stoico che offre la ricetta (strumento essenziale nella passione montante di Benedetta) per riprendersi la propria vita.
Un percorso nato generosamente da un incontro d’amore con una persona cara, bisognosa di cure e tanta umanità.
Nella mente del lettore goloso si associa la visione di un altro saggio orientato su analoghi orizzonti, quel “Breve dialogo sulla Felicità” di Frank Iodice.
Così la vicenda privata di Bennussì– l’affettuoso vezzeggiativo forgiato dalla nonna Elisa che irrompe nel piccolo appartamento della scrittrice all’avvicinarsi del suo centenario di vita –
diviene lievito per un doppio pane dai sapori inaspettati.
Le goliardiche atmosfere animate dall’anziana congiunta sono rubricate come “conversazioni conla nonna”, quasi sempre rimarcate con l’hashtag #ioamomianonna.
Azioni che sollecitano una straordinaria curiosità geriatrica per la società contemporanea, le relazioni virtuali dei social network.
Gesti teneri e disarmanti che accompagnano le giornate mai monotone della vispa (un eufemismo) nonna Elisa. Armata del suo insostituibile Daipan, il nuovo sinonimo coniato ad hoc per riconoscere l’iPad.
Una scenografia ben allestita e reale, lo sfondo per una ricostruzione della propria vita.
Una sfida faticosa per trovare con gli affetti più carie risorse impensabili ai più,
qualcosa di davvero inaspettato.
Buona lettura.