“Oggi un protagonista del calcio deve giocare ogni tre giorni ma non deve sentire mai la stanchezza, deve guadagnare miliardi in poco tempo ma non perdersi, come è possibile avvenga a chi, intorno ai vent’anni, ha le tasche piene di soldi ma non la cultura della vita per non farsi travolgere. Deve essere un maestro di comunicazione anche se in realtà gli è permesso dire solo e sempre le stesse cose, deve saper dire le battute in tvo alla radio fare finta di essere libero mentre invece è prigioniero di un mondo retorico e ipocrita che non è disposto a perdonargli nulla. “
Il passaggio, stralciato dall’epilogo di un libro prezioso, descrive pragmaticamente il profilo di un attore importante, integrato in un sistema di show business, condizionato dalle priorità del mercato globale.

Uno scenario diametralmente opposto, nonostante una vulgata ipocrita, consolidatasi a livello globale, per il mito nella storia del calcio mondiale: Diego Armando Maradona.
L’ultimo libro scritto da Gianni Minà, edito per i caratteri di minimum fax, nella primavera del 2021 è un bellissimo memoriale, capace di sdoganare con lo stile inconfondibile del cronista autentico, l’immagine distonica del pibe de oro.
Il suo saggio “Maradona: “Non sarò mai un uomo comune”. Il calcio al tempo di Diego”, riprende ed evolve il reportage (con l’omonimo titolo tratto dall’esternazione culto dell’indomito calciatore argentino) dello stesso documentarista – il massimo esperto italiano nelle vicende dell’emisfero sudamericano – realizzato nel 2001. Grazie ad un’esclusiva intervista di settanta minuti al campione argentino.
Le circa duecento pagine del libro, comprendenti puntuali indici dei nomi e una serie d’immagini con il protagonista, uniche nel loro genere, realizzano uno stupefacente compendio di un mondo reale. Affastellato da grandi interessi legati a inestimabili traffici di denari, talvolta sommersi da attività illegali quando non criminali.
Realizzati da schiere di personaggi di varia estrazione. Contaminati da fenomeni locali e globali. Comportamenti condotti scientemente con una spregiudicata disinvoltura.
Capace di manipolare facilmente i sentimenti popolari.
Riflessi e amplificati nel “talento divino” del pallone. Campione anche di umane debolezze.
Sono tanti gli aspetti inediti racchiusi in questo lavoro di Minà.

Che documenta in prima evidenza, un raro e vero rapporto di profonda amicizia fra il giornalista e l’astro mondiale.
Amicizia nata nel 1986, in occasione dei campionati mondiali di calcio in Messico.
Da allora il legame si è consolidato sulle basi di un’indiscutibile onestà intellettuale, permeata dalla costante indipendenza nella professione del primo.
Con l’irruente schiettezza di un carattere apparentemente forte del secondo.
Generoso nel concedere una fiducia senza limiti, soprattutto nel condividere le vicissitudini private, all’amico (uno tra pochissimi, se non l’unico) italiano.
Sofferenze sopraffatte dalle forti fragilità relegate all’uso della cocaina.
Una vicenda che ha segnato l’intera, breve vita di Diego Maradona.
“Scorrettamente, la cinepresa di un operatore cercava di ribadire che la cocaina non trovata addosso a Maradona fosse stata gettata dal balconcino sulla tenda del negozio sottostante al momento dell’irruzione degli agenti.”
Sono molteplici gli episodi messi in fila dall’autore, non per immolare il mito del Pibe a vittima sacrificale di una congiura planetaria.
“Non sarò mai un uomo comune” rivela come lo scudo di uno stile non coerente alle gesta e all’etica di un atleta di tale portata (l’assunzione di stupefacenti), abbia costituito una condanna presso che unanime nei confronti del genio argentino.
Una sorta di strumentalizzazione scontata, in ogni ambito vissuto dal campione.
Al quale non fu mai perdonato la grandezza del suo talento innato in campo.
Espanso fuori dal rettangolo di gioco.
Le sue origini povere nel contesto ultra popolare argentino furono declinate in un quotidiano riscatto. In nome e per conto delle fasce più deboli.
Una riedizione della lotta di classe sociale.
Espressa con la metafora calcistica nella forza granitica dello spogliatoio rispetto alla proprietà societaria. Con il potere proletario di chi lotta allo spasimo in campo per la vittoria finale al novantesimo minuto, rispetto a quello padronale in grisaglia della dirigenza societaria.
Una libertà estrema, senza distanza fra pensiero e azione, espressa con la potenza di un sogno collettivo.
Non compatibile con alcuna struttura di potere e di controllo,
Capace esclusivamente di sfruttare e capitalizzare, senza scrupolo alcuno, l’indotto politico finanziario delle ricadute economiche legate alle esibizioni di Maradona.
Con una conoscenza profonda della vita del calciatore argentino, i solidi legami con la sua famiglia di origine, il rapporto complicato con la classe politica argentina e con le federazioni nazionali e mondiali del calcio; Minà confuta stereotipi e campagne persecutorie. Che hanno coperto per lustri, situazioni quanto meno opache.
Utilizzando puntualmente il profilo vulnerabile di Diego come capro espiatorio.
La spettacolarizzazione del contenzioso fiscale con l’Agenzia delle Entrate, un clamoroso caso del genere.
Iniziative vessatorie utilizzate anche per sanzionare – neppure velatamente – la sua vicinanza con i governi sudamericani (in particolar modo l’ostentata amicizia con il leader maximo cubano), a discapito di una improbabile tolleranza per gli Stati Uniti.

Chi scrive, non solo, ricorda bene, anche per aver frequentato la curva A dello stadio San Paolo di Fuorigrotta, negli anni dell’attesa (a cavallo fra i Settanta e gli Ottanta), le dinamiche non proprio azzurre, neppure rosee, riprese nel viaggio storico di Minà, della società Calcio Napoli, guidata dal presidente monarca Ferlaino.
Non si tratta di riscrivere una parabola irripetibile del Calcio moderno del ventesimo secolo. Neppure immaginare indulgenze riparatorie per le scelte di uno straordinario Campione. Immenso in campo, lasciato troppo spesso “solo” fuori.
Con una inaudita ingratitudine.
L’opportunità offerta al lettore è quella di compensare un quadro più verosimile.
Che restituisca il rispetto dovuto, troppo spesso calpestato, a un protagonista irripetibile della nostra storia moderna.
Buona lettura.