“Poi c’è il sole di Càller a fare il resto”.
La conclusione di un libro, un romanzo in questo caso, è un passo saliente, probabilmente determinante rispetto ai favori che incontrerà nei lettori.
Al sole di Cagliari, è affidato tutta una serie di commiati o conversazioni, difficili da interrompere, quasi come se fosse una mancanza, un momento che non dovesse mai realizzarsi. Il sole appare il rimedio più bello e opportuno per evitare il distacco.
Per tornare alle origini. Le nostre radici, quelle che ogni lettore potrà riconoscere grazie al sole che illumina la nostra vita. Anche nei giorni in cui non riusciamo a scorgerlo.
La citazione riportata chiude il secondo romanzo storico scritto da Graziella Monni.
Quattro anni dopo il felice esordio con Gli amici di Emilio (https://www.laltraribalta.it/2020/08/29/gli-amici-di-emilio-il-sogno-compiuto-di-graziella-monni/) la scrittrice nuorese torna in libreria con una nuova avvincente opera.
Il medico di Caller, in uscita lo scorso ventotto giugno per i caratteri di Solferino, nutre con un testo più che coerente la collana Affreschi della stessa casa editrice.
Un affresco di tumulti avvincenti e sanguinari in uno scenario sociale e politico a dir poco inquieto per la Sardegna e la sua città capitale. Un salto a ritroso nella storia di quattro secoli. Rispetto alle vicende del secolo breve affrontate nel primo romanzo.
Nell’antica Cagliari (Caller) nella prima metà del sedicesimo secolo la tratta degli schiavi unita alla cattura degli infedeli, sotto il dominio spagnolo, insanguina, a ritmi incalzanti di tamburi, la plazuela del castello. Sede ideale del patibolo dove rotolano le teste dei malcapitati. Catturati fra le etnie nemiche di mori e pirati barbareschi. Attentatori alla sicurezza del mare nostrum. La supremazia della cristianità avrebbe concentrato di lì a poco l’armada con più di quattrocento navi da guerra e duecento da carico.
Insieme avrebbero puntato le prue su Tunisi. Pronte a stanare Khayr al-Din, detto il Barbarossa. Ammiraglio della flotta ottomana, re d’Algeri e signore di Tunisi.
In questo scenario non proprio tranquillo il lavoro di Don Alfonso de Ponte, maggiorale del gremio cittadino dei medici e degli speziali, autorevole figura, stimato professionista, era puntualmente richiesto nelle occasioni delle non poche pene capitali. La sua verifica ufficiale, circa la constatazione di decesso del condannato, era dovuta anche con l’intervento letale del boia, in occasione delle cruenti decapitazioni. Realizzate, non a caso, alla presenza del popolo nella pubblica piazza.
Alla visione di una esecuzione, particolarmente efferata, assiste casualmente insieme ad altri minori, la giovanissima fanciulla Violante, figlia del medico don Alfonso.
La ragazza visibilmente scossa, si troverà ancora insieme al padre nella circostanza determinante per l’articolazione dell’intera vicenda. Allor quando imbattendosi nei vicoli limitrofi il grande porto sardo, in due schiavi infedeli, riusciti a scappare dal mercato che li aveva venduti a notabili senza scrupoli; ne agevolano la fuga, omettendone la presenza agli inseguitori.
Uno dei due mori, offre un prezioso anello ad Alfonso. Il quale ancora attonito dalla sua iniziativa, per nulla compatibile ai dettami del reame governativo spagnolo, rifiuta il monile, sotto lo sguardo sconcertato della piccola Violante.
Pochi anni dopo, sufficienti a cambiare radicalmente la vita di Alfonso e della sua famiglia, lo stesso anello o comunque uno molto somigliante, sarà rinvenuto insieme ad evidenti tracce di violente colluttazioni sulla spiaggia di Nuralba dallo stesso medico.
A Nuralba Alfonso de Ponte ha dovuto fissare la nuova dimora con la sua famiglia. Un esilio forzato, concordato con le alte istituzioni spagnole, pronte a rinnovare la profonda stima nel medico probo di specchiata reputazione. L’uscita da Caller, il pegno pagato per lavare “l’accusa di tradimento” – riferita alla fuga riuscita nei vicoli di Caller, di uno dei due schiavi incrociati da Alfonso e Violante – avanzata dal suo dichiarato nemico, don Nicola de Cotes. Medico pure lui, di ben altra caratura morale. Per usare un eufemismo.
Il monile ritrovato da Alfonso sulla spiaggia in prossimità di tracce di sangue, con il fuoco ancora acceso, descrivono insieme alla testimonianza tardiva di due testimoni oculari – coprotagonisti nell’incalzare degli eventi – la razzia fatta da molti uomini sopraggiunti da un vascello in rada e il rapimento di quattro giovani di Nuralba. Fra questi Jacopo, promesso sposo di Violante.
Questo evento da la stura ad una serie funesta di accadimenti che coinvolge l’intera comunità di Nuralba. Disgrazie, lutti e omicidi si susseguono con particolare accanimento ai familiari dei rapiti.
Il romanzo si arricchisce di pathos e tinte noir, grazie alle visioni avvincenti e salgariane. Proiettate nell’immaginario del lettore dalla scrittura fluida e lineare di Graziella Monni.
Brava nell’affiancare insieme al protagonista che titola la storia, un coro di voci e personaggi determinanti nel comporre con i giusti toni cromatici, l’affresco storico.
Che risalta in chiari collegamenti alle cronache dell’attualità. Che tengono il mondo con il fiato sospeso. Fra i protagonisti che arricchiscono l’opera di contenuti forti risalta Dimitrios.
Presentato alla pagina 18 dall’autrice: “Dimitrios era un greco di Atene, rapito dai barbareschi a Cipro, dove da qualche giorno si trovava per affari. Era stato prelevato insieme ad altri sventurati e poi liberato da una galea spagnola in uno scontro in mare aperto.”
Approdato nell’isola dopo rocambolesche avventure, aveva aperto una erboristeria con infusi e rimedi molto richiesti a Caller. “Ma ad attrarre i clienti era soprattutto la sua sapienza, la conoscenza della filosofia antica, la parola giusta che sapeva dosare come gli ingredienti delle sue tisane.” Anche la sapienza di Alfonso, rispetto alle sue decisioni più importanti da intraprendere, richiederà al fidato Dimitrios le ispirazioni decisive.
Un omaggio ai Dialoghi di Platone, stella polare nella scrittura di Graziella Monni.
Così come frate Fernando e altri personaggi storici richiamati nel romanzo, inchioderanno il lettore nell’avanzare delle pagine. Accompagnandolo in orizzonti non scontati circa stereotipati assiomi sul reiterato scontro di civiltà. Anche nel frangente decisivo che monta nei cinquantuno entusiasmanti paragrafi, un elemento naturale come la pioggia torrenziale, decisivo in un drammatico scontro navale fra i cattolicissimi spagnoli e gli infedeli africani, avrà la sua funzione equa o salvifica.
Graziella Monni ci consegna un affresco di appassionante umanità.
Lungi dalla presunzione di riconoscere nuovi idiomi narrativi, cogliamo la sua sensibilità in compagnia di una rinnovata classe di autori sardi (Ciro Auriemma, Francesco Frisco Abate), nel rilancio sulla scena editoriale nazionale di una accattivante, storica “Casteddu literature”.
Certamente un valore aggiunto. Buona lettura.