A trenta anni dalla scomparsa di Gustavo Adolfo Rol, Francesca Diotallevi illumina l’oscurità di luoghi e tempi occulti della nostra memoria. L’Ultimo Mago, un mirabile affresco di storia e stupore.

“Ora, vede se in questo momento non fossimo qui a parlare di schmeh, io potrei convincerla d’averle letto nel pensiero, e lei ne sarebbe persuaso”.

Il passaggio stralciato in un dialogo fra Nino Giacosa e il prestigiatore illusionista Giacomo Audisio, noto Mago Cornelio, prefigura la realtà storica sui complessi teoremi concernenti la chiaroveggenza e gli scenari collegati, a prescindere dalle evidenze scientifiche e nel caso specifico sull’articolato dibattito sulle presunte doti paranormali attribuito al sensitivo torinese Gustavo Rol. (https://www.cicap.org/n/articolo.php?id=273681).

Questo controverso personaggio ha catalizzato per le straordinarie peculiarità della sua personalità, un’attenzione crescente. Trasformatasi in una sorta di venerazione con una notorietà di spessore internazionale. Accompagnata da una vasta bibliografia dedicata.

In questo ambito la scrittura magnetica di Francesca Diotallevi compone un ammaliante romanzo storico. L’ultimo mago, in libreria dallo scorso aprile, edito da NERI POZZA, tesse una intrigante trama che esplora i luoghi sconfinati dello scibile umano

L’incipit svela una visione immaginifica pregna di attesa e stupore per l’animo del lettore, avvinto sin dalle prime battute del testo: “Qualcosa d’importante sta per accadere, lo sento…rivelò, sfiorando con la punta delle dita i tre mazzi di carte posati davanti a lui.”  

L’ambientazione narrata in una tensione noir anticipa la scena e le azioni che seguono in un alone esoterico che permea l’intera vicenda. Consumatasi nei passaggi salienti nella storica dimora torinese di Gustavo Rol sita in via Silvio Pellico 31.  L’adunata di una elitaria sequela di amici e sodali ritrovatasi per festeggiare insieme l’arrivo del Capodanno 1960, è una particolare riunione fra le note, selezionate serate. Dove si realizzano esperimenti e fenomeni ritenuti di strabiliante e inspiegabile natura da parte di tutti coloro che hanno l’opportunità di parteciparvi.

Fra questi Nino Giacosa e Miriam, moglie del facoltoso avvocato Giorgio De Michelis, rivestono i panni dei veri protagonisti di una vicenda dai tratti opachi e misteriosi.

Utili a confondere o celare dinamiche umane molto più semplici delle apparenze.   

La grande guerra mondiale del Novecento ha tenuto lontano Nino dai suoi inseparabili amici di una infanzia consumatasi nella commistione di classi sociali ben distinte. Umile e proletaria, quella di Nino e Miriam, trovatisi entrambi a frequentare per motivi di lavoro dei propri genitori, l’esclusiva villa di casa De Michelis dove cresce il rampollo Giorgio.   

La battaglia di El  Alamein, la successiva prigionia di un lustro in un campo di detenzione inglese ai piedi dell’Himalaya, il prosieguo della vita dedita all’alcool e al gioco d’azzardo alle carte, ha segnato una frattura insanabile nel primo amore, vero e irrefrenabile, fra Nino e Miriam. Ritrovatasi naturalmente, suo malgrado, nell’alta borghesia torinese, moglie dell’altro inseparabile amico Giorgio.  

A quarantuno anni compiuti Nino Giacosa soggiogato dai debiti, inseguito dai creditori, dipendente dall’alcol, era tornato a Torino. Vagheggiando l’aspettativa di scrivere con l’inseparabile Remington, ricevuta in prestito da un amico con taccuino e penna in tasca, la sceneggiatura decisiva che avrebbe segnato la svolta alla sua travagliata esistenza. I suoi passi lo avevano riportato alla sontuosa dimora del suo amico d’infanzia Giorgio, avvocato De Michelis.  Quindici anni dopo i loro ultimi contatti, alla vigilia delle nozze con Miriam.       

La scontata ospitalità dell’amico, legale fra i più noti e abbienti del capoluogo piemontese, diverge dalla reazione della moglie. Renitente ad un sereno confronto con l’uomo, unico vero amore della sua vita, che avrebbe voluto sposare.     

In questo scenario Francesca Diotallevi realizza un magistrale lavoro neorealistico, uno scrigno letterario ricco di essenziali contenuti umani. Dove la ratio scientifica si contamina con verità cognitive, sentimenti contrastanti che necessitano di entità superiori.

Capaci di infondere rassicuranti equilibri.   

L’autrice inducendo il lettore nel concedere un credito alla minoranza degli scettici – incarnati dal Giacosa in versione investigativa – sulle presunte doti soprannaturali di Gustavo Rol; non dissente dalle inattaccabili referenze, circa le capacità taumaturgiche del venerato sensitivo, professate dalla maggioranza dei suoi sodali.       

Rappresentati peraltro in una trasversale platea di personalità dotate di spessore non comune nelle diverse estrazioni sociali di origine.  

Coerente alla riconosciuta necessità dei bisogni dell’anima che albergano in ogni essere umano, chiamato inevitabilmente a fronteggiare le proprie caducità;

Diotallevi realizza la trasposizione letteraria di una prestidigitazione.

Francesca Diotallevi fonte: pagina facebook.

Sapientemente manipolata con la potenza ammaliante delle parole. La formula risolutiva dell’esperimento narrativo è dissimulata ancora dal dichiarato prestigiatore Mago Cornelio:

“Un vero scrittore non nega mai l’esistenza della magia: ne conosce il valore. Provi a togliere la magia da qualcosa di scritto e avrà solo un mucchio di povere parole sopra a un foglio”.

Struggente nel dolce riposizionamento temporale dei protagonisti, l’epilogo della storia.

Specchio cruciale del tempo che scorre. Con un amore da scoprire che resta.

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