Il pampleth di Jorge Mario Bergoglio uscito poche settimane prima dell’apertura della porta santa per l’avvio del venticinquesimo anno giubilare, anticipa l’essenza di questo nuovo tempo speciale per la comunità dei credenti. E non solo.
“E coltiva ideali. Vivi per qualcosa che supera l’uomo. E se un giorno questi ideali ti dovessero chiedere un conto salato da pagare, non smettere mai di portarli nel tuo cuore. La fedeltà ottiene tutto.”
La conclusione de “La speranza è una luce nella notte. Meditazioni sulla virtù umile”, edito da Libreria Editrice Vaticana, con la scelta dei testi di Roberto Alessandrini, completa una guida essenziale all’approccio per questo nuovo anno santo, inaugurato da poche ore con la apertura della porta santa nella Basilica romana di San Pietro con la cerimonia dedicata nella serata della vigilia di Natale.
Dalla notte della Natività sino a domenica cinque gennaio, con l’ultimo rito di apertura presso la Basilica di San Paolo fuori le mura, saranno cinque le porte sante aperte a Roma dal Pontefice.
Domenica ventinove dicembre con l’apertura della terza porta santa romana presso la Basilica di San Giovanni in Laterano, tutti i vescovi delle conferenze episcopali cattoliche apriranno l’anno giubilare presso le rispettive comunità diocesane in comunione con il Santo Padre.
Nelle Meditazioni Sulla Virtù Umile Papa Francesco ribadisce il significato di questo giubileo dedicato ai “pellegrini di speranza”.
La speranza, riconosciuta da Francesco come “virtù umile, minore, eppure fondamentale”.
Il saggio si ispira ad una poesia di Charles Péguy con una meditazione sul Natale e sul presepe.
Le note dell’autore conferiscono al valore della speranza un precetto militante per il credente. Un impegno non prescindibile dalla Fede che sdogani ogni terrena illusione legata a desideri compatibili con una comoda, personale zona di conforto: una bella giornata fortunata che superi quel particolare esame, che produca una particolare gratifica per il soddisfacimento di un anelato piacere.
Eloquente Francesco che sin dalle prime battute del testo chiarisce:
“Sperare allora per il cristiano significa la certezza di essere in cammino con Cristo verso il Padre che ci attende. La speranza mai è ferma, la speranza sempre è in cammino e ci fa camminare. Questa speranza, che il Bambino di Betlemme ci dona, offre una meta, un destino buono al presente, la salvezza all’umanità, la beatitudine a chi si affida a Dio misericordioso.”
La domanda che può sorgere spontanea nella lettura del testo riguarda l’atteggiamento di coloro che non sono credenti o che, in ogni caso, non si riconoscano pienamente destinatari di queste sollecitazioni.
Non saranno neppure in pochi, considerando non solo i numeri poco incoraggianti circa la vita pratica dei credenti, italiani e non solo, rispetto a tutto ciò che riguarda il rapporto personale con la Fede cristiana, mediata dai ministri ordinati dalla Chiesa di Roma. Senza allargarsi alle percentuali di chi aderisce ai sacramenti, ai riti del calendario liturgico, al numero sempre più risicato, nel mondo occidentale, delle vocazioni religiose e così via. Una realtà che si complica considerando i focolai di grande sofferenza e incertezza alimentati a livello globale dalle guerre sempre più vicine alle nostre realtà quotidiane. Allo sconcertante stato dell’economia reale del Paese, al divario sociale alimentato da un evidente disequilibrio delle risorse in campo. Favorito da troppe diseguaglianze. Con un mercato del lavoro dove il cosiddetto “lavoro povero” impera anche in molte realtà aziendali un tempo ambite dagli aspiranti lavoratori per il controllo azionario pubblico o del parastato. Maestranze troppo spesso risucchiate da nuove proprietà o improbabili soggetti. Sfrontati nelle attività di mercato, avvezzi a parcheggiare la maggior parte dei lavoratori, ereditati con le relative imprese, quasi sempre svendute dallo Stato, nel girone infernale dei cassa integrati o peggio degli aspiranti pensionati: rimessi anzi tempo fuori organico. Con i sodali fedelissimi rimasti a reggere il trespolo delle tre “C” (Corruzione / Carrierismo / Capolarato vedi: delazione – calunnia).
In uno scenario geopolitico seriamente compromesso; in quello locale segnato da un tessuto sociale lacerato da una povertà dilagante, la voce di Francesco si erge in un solitario stoico baluardo. Una “solitudine”, percepita anche grazie all’eccesso di una istituzionalizzazione delle gerarchie ecclesiastiche. Dove la stessa CEI, animata da un profondo processo di riforma sinodale, tesa ad un inedito coinvolgimento del popolo dei battezzati, nella consapevolezza di un comune cammino integrato nella comunità locale; appare ancora una struttura di apparato. Distante dagli interessi di una massa critica, seppure in buona parte di dichiarato credo cattolico.
Non si ha la pretesa di sentenziare slogan qualunquisti anticlericali. Seppure la campagna pubblicitaria avviata da giorni dall’imponente network di comunicazione collegato all’anno giubilare con la piattaforma di riferimento www.iubilaeum2025.va dà adito all’idea di preservare altre priorità che garantiscano un flusso importante di pellegrini in arrivo nella capitale (si stimano circa 30 milioni di transiti) da tutto il mondo.
Concludendo sulla apparente “solitudine” di Francesco alimentata da una stampa internazionale unanime o quasi, nel coglierne la fragilità di uno stato di salute ai limiti di un mandato pietrino sostenibile, con tutti gli scenari ipotizzati sui profili dei possibili candidati alla sua successione; limpido e perentorio risuona il suo testimone universale :
“In ogni momento della vita ci assiste la mano di Dio, e anche la discreta presenza di tutti i credenti che <<ci hanno preceduto con il segno della fede>> (Canone Romano). La loro esistenza ci dice anzitutto che la vita cristiana non è un ideale irraggiungibile. E insieme ci conforta: non siamo soli, la Chiesa è fatta di innumerevoli fratelli, spesso anonimi, che ci hanno preceduto e che per l’azione dello Spirito Santo sono coinvolti nelle vicende di chi vive ancora quaggiù.”