“Come diceva la canzone? Me ne andai verso il destino con l’entusiasmo di un bambino. Non c’è razzismo al mondo che, quando corre guardi per terra, e nemmeno io lo faccio, perché non ho nessuna intenzione di cadere”.
Galeotta fu la citazione! Tratta dalla premessa ad una affascinante storia autobiografica.
Scritta da Giovanni Calone, al secolo Massimo Ranieri, in occasione del suo settantesimo compleanno.
“Massimo Ranieri. Tutti i sogni ancora in volo”, è il titolo del saggio.
Un affascinante viaggio lungo tutto il percorso di una luminosa carriera. Ancora in itinere.
Edito per i caratteri di Rizzoli editore. In libreria dallo scorso novembre, il volume ha superato la quarta edizione.
Lo chansonier partenopeo è riuscito, pochi giorni dopo il suo settantunesimo genetliaco, nella non facile impresa di “smentire sé stesso”.
Con la rovinosa caduta, occorsa durante una replica del suo storico show, in programma, poi sospeso, al teatro Diana a Napoli.
Non è certo un preoccupante inedito, l’imprevisto movimento sulla ribalta di casa al Vomero.
Proprio nel mezzo di una cruciale narrazione sulla irripetibile esperienza lavorativa con il Maestro Giorgio Strehler alla pagina 118, annota:
“27 ottobre 1994, prima nazionale a Torino. Caddi dal palco e mi ruppi i legamenti di entrambe le ginocchia. Un disastro. Ero distrutto, non potevo uscire in scena.”
Questo nuovo lavoro che impegna l’eclettico artista nell’ambito editoriale, consegna al lettore un memoriale denso di notizie. Fatti non scontati ai più. Aneddoti in ambiti della vita privata che incrociano, talvolta con tenerezza, la vita e le carriere dei più grandi protagonisti del genio artistico del Novecento.
Attori, cantanti, registi, sceneggiatori, addetti ai lavori del cinema, teatro e televisione.
Una schiera di grandi nomi, sempre pronti a relazionarsi, ad accogliere, spesso inseguire quel ragazzino senza arte né parte – un eufemismo – va da sé.
Il recondito desiderio di condividere il raggiungimento di traguardi, apparentemente impossibili. Rispetto alla consapevolezza dei propri mezzi, delle limitate conoscenze.
Per riuscire a lavorare insieme a geni illuminati, preparati da formazioni specifiche.
Certamente il percorso che lo conduce come uno dei più grandi interpreti della Canzone italiana, con i suoi tour sempre esauriti in ogni data
si sovrappone al suo più grande amore, professato in questo racconto. Il teatro.
“Strehler amava pazzamente gli attori napoletani. Come diceva lui <<esistono due lingue in Italia, il veneto e il napoletano, gli altri sono dialetti>>. Ma non era un motivo sufficiente per capire perché avesse scelto me per quel ruolo. Non mi aveva mai visto recitare. Subito mi sembrò un mistero. Così glielo chiesi, al nostro secondo incontro”.
L’approccio a un progetto, arduo da raggiungere, è vissuto puntualmente come un sogno. Forse impossibile, ma proprio per questo da desiderare e inseguire con tutte le energie disponibili. Con una passione indicibile.
Con l’entusiasmo o l’incoscienza di un bambino.
“Il teatro di Strehler era magia. Quando entrava in scena a salutare tutte le autorità d’Europa si alzavano in piedi. Ministri, presidenti…tutti. Era riconosciuto nel mondo come il più grande. Era la perfezione, il teatro elevato alla massima potenza.”
La cifra di questa esperienza è un valore circolare che permea la vibrante narrazione del testo, così come la vita del protagonista. L’Amore.
Smisurato per la casa, la sua famiglia. Povera, ricca di stenti, sacrifici e privazioni. Ricca del rigore impartito dalla mamma.
Poco incline a visioni diverse dalla campata della giornata. Ricca delle emozioni del papà nel riconoscere i talenti ignoti di Giovanni.
Parlano con una potente empatia alcune foto in bianco e nero degli anni settanta che ne impreziosiscono il testo.
Questo legame forte nella famiglia è stato declinato interamente nell’amore per la ribalta.
La citazione per i suoi affetti privati s’incontra senza veli con il gesto d’amore più naturale. Offerto al suo pubblico. Una vita da sogno. Con tanti altri ancora da realizzare.