“Ho passato con David gli ultimi undici anni della mia vita. Le sue capacità, la sua onestà, il suo genio, il suo essere leale ma rigoroso sono qualità che io non ho mai trovato in una sola persona. David ha avuto un’unica colpa, quella di saper fare il suo lavoro meglio di ogni altro.”
La citazione di Giuseppe Mussari significa con poche adeguate parole, l’ultima vittima di una delle vicende più complesse, quanto mai opache, delle recenti cronache giudiziarie della Repubblica Italiana.
Un passaggio paradossale, per usare un eufemismo, tratto dall’ultimo libro (il secondo dedicato al caso) di Davide Vecchi.
La verità sul caso David Rossi edito da CHIARELETTERE, in uscita nelle librerie dai primi giorni dello scorso aprile, si completa nel sottotitolo eloquente: Tutto quello che ancora non sapevamo.
Il lavoro di Vecchi aggiorna la sua prima inchiesta sull’inquietante vicenda (Il caso David Rossi, il suicidio imperfetto del manager Monte Paschi di Siena, edito da CHIARELETTERE nel 2017), sulla base dei lavori della commissione d’inchiesta avviata dal Parlamento. La prima relativa alla scomparsa di un privato cittadino. Non indagato né coinvolto in alcuna iniziativa giudiziaria.
L’inchiesta, seria e profonda di Vecchi, non assume le connotazioni di un sequel noir, seppure le sofisticate reti con trame ampie e oscure di più eterogenei sistemi di potere, appaiono proprie di una crime fiction.
Il tono sobrio e pacato dell’autore è capace di gestire tensioni emotive, inevitabili rispetto alla sua professione spesa in questo caso. Al coinvolgimento diretto, insieme alla vedova Rossi (Antonella Tognazzi), in una indagine disposta dagli inquirenti senesi, collegata al poco credibile suicidio del giornalista manager. Responsabile alla comunicazione della più antica banca italiana.
“La scientifica termina il sopralluogo e all’1.30 del 7 marzo 2013, vengono rimessi i sigilli all’ufficio di Rossi. Quello che è realmente accaduto in quella stanza è emerso soltanto nel dicembre del 2021. Ma c’è sempre tempo per fare meglio”.
Di fronte alla verità oggettiva della morte di Davi Rossi, l’inchiesta di Vecchi, sostenuta in ambito giornalistico da altri colleghi menzionati nel testo, illumina una seconda verità.
Una ipotesi che prescinde dalla reale causa di morte. Rubricata, praticamente in tempo reale, come “suicidio”.
Le grossolane omissioni, le scandalose incongruenze che caratterizzano i massicci interventi di inquirenti e forze dell’ordine sul luogo della tragedia, sin dai primi attimi in cui si consuma, confermano azioni improprie. Comportamenti non coerenti alle elementari norme sulle procedure d’indagini. Sulle azioni da compiere, nella raccolta dei reperti, nei rilievi da compiere sul luogo della disgrazia. Normalmente setacciato dalla polizia scientifica. Intervenuta con un ritardo inaudito.
Uno scenario sconcertante riepilogato da Vecchi alla pagina 116 del libro:
“Un supplemento di indagine sarebbe stato fondamentale. Mancavano i tabulati telefonici, mancavano le riprese delle telecamere di videosorveglianza, mancavano le analisi dei reperti, le celle telefoniche, gli interrogatori, non si sapeva neppure chi fosse presente, né era stato identificato l’uomo che si era affacciato nel vicolo pochi minuti dopo l’impatto al suolo del manager. Mancava tutto. Tutto andava fatto. E ancora tutto si poteva fare. Era già elencato lì, in quell’atto del settembre 2013”.
La morte di David Rossi è un evento legato indiscutibilmente all’inesorabile tracollo del Monte dei Paschi di Siena, perpetuatosi nei primi tre lustri del terzo millennio.
Una lunga e complessa stagione decisa da azioni e scelte compiute da una serie di protagonisti e comprimari.
Alcuni dei quali trattati nel saggio di Vecchi.
Trarre delle conclusioni in una galassia popolata da interessi e personaggi di quantità e qualità non stimabile è impresa ardua.
Questo dato, analogo a troppi casi irrisolti, nei cosiddetti misteri italiani, non giustifica il ricorso ad un reiterato oblio storico.
Che affidi a eventuali posteri, compiti clamorosamente disattesi. Un fenomeno palesemente riconosciuto nel lavoro inquirente, a dir poco inefficiente, di una terna di magistrati della procura di Siena.
A prescindere dai fatti, ordinatamente messi in fila dall’autore, forte soprattutto della consapevolezza prima e della determinazione poi, nel voler riaprire le dinamiche dell’accaduto, da parte dei familiari di Rossi (la moglie con la figlia Carolina e il fratello Ranieri), il lettore potrà cogliere aspetti non secondari rispetto alla trama del libro.
Che, in linea al contesto storico, documenta, oltre le indagini dei magistrati a carico di alcuni indagati nel dissesto finanziario dell’istituto, alcune iniziative dirette dai vertici politici romani dell’epoca.
Registi o azionisti di partito nella gestione, prima della Fondazione Monte Paschi, poi dell’istituto di credito. Esponenti di peso nelle istituzioni dello Stato.
È riportato ad esempio il caso dell’autorevole ottuagenario.
Pluri designato con presidenze e incarichi ai massimi vertici della Repubblica.
Chi scrive e non solo, lo ricorda Presidente di un drammatico esecutivo nazionale nel 1992, quando. per salvare la lira italiana, avviluppata sull’orlo del baratro, non esitò al noto prelievo forzoso del sei per mille sui conti correnti bancari dei contribuenti.
Lo stesso dottor Sottile, eletto il 29 gennaio 2022, Presidente della Corte Costituzionale, protagonista nei tempi andati in un animato dibattito sulle pensioni d’oro.
In una delle rare intercettazioni lasciate integre dagli inquirenti senesi, l’allora professore, già presidente dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, primo consulente italiano per la Deutsche Bank, il primo aprile 2010, sollecita con garbo istituzionale il presidente Monte Paschi Mussari, per la consueta sponsorizzazione da centocinquanta mila euro per sostenere “il nostro torneo a Orbetello”.
Senza dimenticare le azioni di moral suasion messe in campo dai più alti vertici governativi di area DS per indirizzare le future politiche espansionistiche della banca senese sul mercato finanziario (ovvero nel risiko interbancario) nazionale.
Davide Vecchi riesce a illuminare il lettore su un sistema di vasi comunicanti mai interrottisi nell’ortodossia dello status quo, consolidatesi sin dalla genesi della Repubblica.
Nel perimetro circoscritto all’affaire Monte Paschi, una circostanza cresce nell’evidenza dei numeri.
Riguarda l’esponenziale progressione di spesa in attività economiche di varia natura, promossa dal Monte Paschi di Mussari nei primi anni del duemila.
Non è necessaria una sofisticata ricerca per ricordare chi sedesse in quegli anni alla presidenza di Via Nazionale a Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia.
Il più alto organo istituzionale deputato a esercitare le funzioni di controllo e prevenzione sulle attività degli istituti di credito nazionali.
Difficile reprimere spontanee associazioni di idee ad altre inchieste giornalistiche promosse da alcuni colleghi di Vecchi e dallo stesso editore (vedi: https://www.laltraribalta.it/2021/11/21/rapporto-sulla-fratellanza-in-italia-il-potere-massonico-di-ferruccio-pinotti/)
Vecchi ricorda la metafora dei “burattini”. Evidentemente manovrati da eventuali burattinai.
Tesi che, supportate con riscontri oggettivi nelle inchieste giornalistiche, sono facilmente ascrivibili nel “girone dei complottisti” dalle strutture conservative dei sistemi di potere.
Resta preminente sullo sfondo del libro, oltre la morte di Rossi, verosimilmente non coincidente con la verità sancita a Siena, il lavoro distonico dei magistrati di Siena.
Comportamenti stigmatizzati ben oltre la negligenza e oggetto di nuove indagini avviate da altre procure italiane.
Un corto circuito istituzionale con giudici che indagano altri colleghi togati.
Anche questo, un refrain vissuto e attraversato da giornalisti e giuristi indipendenti.
Una condizione, l’indipendenza, dettata dalla norma. In troppe drammatiche occasioni, pagata con vessazioni persecutorie per coloro che la praticano.
Degenerate in depistaggi eversivi o gravissimi sabotaggi nelle carriere dei soggetti più scomodi al sistema (vedi https://www.laltraribalta.it/2020/10/30/la-maledizione-di-piazza-fontana-il-processo-impossibile/)
Sino a contemplare gesti estremi come quello mirabilmente esposto in questo saggio.
Che non esaurisce la richiesta di verità e di giustizia, non solo per i familiari di David Rossi.
In un Paese dove i risultati elettorali di queste ultime ore, non chiariscono sufficientemente il primo partito vincitore, decretato dall’esito dell’urna.
Quello dell’astensione che in alcuni luoghi della Repubblica supera il cinquanta per cento degli elettori. Non più disposti a concedere fiducia e credibilità nelle istituzioni repubblicane.
Buona lettura.