Sono molteplici gli aspetti, le visioni, le emozioni custodite dal lettore, giunto al termine di una lettura avvincente. Non potrebbe essere altrimenti, se non altro per un testo, forte di seicento pagine.
“Secondo l’ONU, più di due milioni di schiavi africani arrivarono nell’America spagnole tra il 1520 e il 1867, rendendola il secondo maggior <<importatore>> di schiavi dopo il Brasile.
La conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e ogni forma di intolleranza che accompagna tali fenomeni, tenutasi a Durban nel 2001, le cui dichiarazioni sono state appoggiate da molti Paesi, istituzioni, organizzazioni nazionali e internazionali e Ong, nonché la risoluzione dell’ONU sul Decennio internazionale per la difesa degli afrodiscendenti, che ha avuto inizio il 1° gennaio 2015 e si concluderà il 31 dicembre 2024 con il tema <<Persone di origine africana: riconoscimento, giustizia e sviluppo>>, sono strumenti validi per dare visibilità, chiedere risarcimenti e combattere il razzismo.”
Il passaggio stralciato dalle note dell’autore– in chiusura al romanzo storico – focalizza l’aderenza contemporanea permeata in tutta l’imponente narrazione.
Potente e duale, nelle trame convergenti, realizzata da Ildefonso Falcones nel suo ultimo romanzo, Schiava della libertà. Edito lo scorso anno in Italia per i caratteri di Longanesi.
La vicenda vive e si evolve sulle gesta di due donne. Protagoniste in due diverse epoche storiche. Separate esclusivamente da un arco temporale di circa centocinquanta anni.
Il prologo che presenta la prima, l’undicenne africana Kaweka, nel disperato approdo cubano del 1856, è una cruenta visione. Una sequenza inquietante nelle immagini narrate. Analoghe nell’immaginario emotivo con quelle che si realizzano nella drammatica realtà contemporanea. Con gli sbarchi europei e italiani delle centinaia di migranti in fuga dalle loro terre natie:
“Sulla sabbia si accalcava una moltitudine composta da centinaia di infelici. I singhiozzi, i lamenti e i gemiti si infrangevano contro gli ordini dei capatez e gli schiocchi di frusta.”
Nel romanzo, scritto dall’avvocato nato a Barcellona nel 1959, la tratta criminale degli umani, offesi e straziati oltre ogni immaginario limite, trova le fonti storiche nella piaga inumana del razzismo. Istituzionalizzato nelle leggi europee coloniali della schiavitù.
La piccola Kaweka evolverà in un destino di sofferenze e dolori (vere torture che deturperanno in lunghi anni di lotte il suo originario fisico, sensuale e attraente), oppressa dal duro giogo schiavista imposto dallo spietato marchese di Santadoma.
Avo quest’ultimo degli omonimi marchesi di Santadoma, proprietari della prestigiosa banca con sede e direzione a Madrid.
Nell’istituto bancario spagnolo, oggetto di acquisizione da altra importante banca d’affari americana vi lavora nel secondo decennio del terzo millennio, la giovane Lita.
La talentuosa donna in carriera è, casualmente, figlia di una domestica di casa Santadoma.
La bancaria madrilena nell’ascesa della professione avanza nel riscatto delle sue umili origini.
Sancite nel colore mulatto della propria pelle.
Una insolita vacanza premio la porterà in compagnia di due amiche in un soggiorno a Cuba.
Questo evento clou la renderà, grazie ad una fortuita escursione turistica, alter ego della schiava combattente Kaweka.
Con la quale condividerà, seppure in epoche diverse, una analoga atroce fuga per la vittoria.
L’impegno a perseguire un riscatto differito in uno scarto epocale di tre generazioni.
Con un fluire di fatti: appassionanti e cruenti.
Che accompagnano il lettore in un tumultuoso viaggio storico. Denso di pulsioni ancestrali.
Manifestate nei linguaggi più rudi e sensuali della promiscua convivenza autoctona.
In entrambe le epoche visitate nel romanzo insistono fenomeni sovrumani. Emergenti nelle indomite presenze di antiche divinità religiose. Originarie del continente nero.
Il compendio di storia e finzione, con una narrazione potente, talvolta epica, realizza un’opera omnia.
Che ci consegna una Umanità più vera e contemporanea. Segnata nei quotidiani rigurgiti razzisti in ogni ambito della società globale. Dove vinti e vincitori vestono ogni giorno una divisa irrinunciabile nel prosieguo del nostro passaggio terreno.