“Un gesto di umanità. C’è sempre la pretesa di un gesto di umanità anche lì dove l’umanità si è interrotta. Persa, cancellata. Non il caso, quindi, ma l’umanità.”
La citazione – come una stella polare – brilla l’incipit nella prima pagina di “Un autunno d’agosto”. Il primo libro scritto da Agnese Pini, giornalista, prima donna ad assumere la direzione del quotidiano “La Nazione”, in oltre 160 anni di storia del giornale di Firenze.
Nato nel luglio del 1859.
Conferitole, dal luglio 2022, la direzione de “Il Resto del Carlino”, “Il Giorno”, e “Quotidiano Nazionale”, la cronista, originaria di Carrara, nello scorso aprile debutta nella scrittura di questo saggio. Più propriamente, un vero romanzo civile popolare. Edito per i caratteri di Chiarelettere.
Ci si potrebbe intrattenere – forse perdersi – in più di una premessa nell’approccio a questa lettura.
L’occhiello, ovvero il sottotitolo, sgombra curiosità o preamboli inutili.
Il diario biografico nella storia personale dell’autrice incrocia i fatti tragici e la storia d’Italia (evidentemente non completamente nota ai più) che anticiparono la nascita della Repubblica Italiana.
La vicenda indagata, documentata, vissuta attraverso i racconti e le testimonianze dei familiari e delle persone più care e vicine alla Pini, descrive una delle troppe, tragiche stragi dimenticate del nazifascismo, quella di San Terenzo Monti nell’agosto del 1944.
La trama si avvia con una visione da incubo, ricorrente nell’immaginario dell’autrice, voce narrante nelle duecentoquarantotto pagine del libro. La piccola Clara Cecchini, unica superstite dell’eccidio, emersa, in una surreale resurrezione, dal groviglio di carne e sangue dei cadaveri rimasti in terra, fingendosi “uccisa” insieme ai suoi cari e compaesani.
Un tributo di sangue pagato nei crimini di guerra realizzatisi in Italia con oltre sessanta mila morti.
L’eccidio relativo al minuscolo paese incastonato nella valle della Lunigiana, in piena “linea gotica”, si consuma nel pomeriggio del 19 agosto 1944. Fra le vittime della carneficina, Palmira, bisnonna materna di Agnese Pini.
Chi scrive prova un piacere (grande) nel salutarla alla serata inaugurale (lo scorso 27 luglio) della quinta edizione di LIQUIDA. Il festival di giornalismo letterario, atteso appuntamento estivo nell’incantevole scenario prospiciente la basilica di Saccargia a Codrongianus, nel sassarese.
La visione del panel, moderato da Giacomo Bedeschi, direttore de La Nuova Sardegna, è sicuramente illuminante:
La lettura di questo testo apre molte vie inedite nella formazione, nel pensiero del lettore.
La descrizione del dolore patito dagli abitanti di quei luoghi, ameni e solitari, dell’orrore inferto in ogni dove, realizza visioni dalle tracce indelebili nell’immaginario del lettore.
La narrazione dirompente di Agnese Pini ha impegnato chi scrive – per la prima volta – solo settantadue ore per completarne la lettura.
Lo stesso intervallo di tempo che separa l’iniziativa militare dei giovani partigiani di San Terenzo dalla orribile rappresaglia attuata dalle S.S. naziste.
La condivisione di storie e sentimenti interiori racchiuse negli orrori perpetuati con gli eccidi nazisti, durante la seconda guerra mondiale, offre una seria opportunità di consapevolezza.
Ignara per interminabili lustri agli stessi familiari delle migliaia di vittime innocenti.
“Si ha paura solo di ciò che non si conosce”.
Il mantra, assunto dall’autrice, nel suo percorso a ritroso nel tempo, offre una concezione circolare del nostro passaggio terreno.
Un processo di emersione della verità, reso possibile dal contributo che ogni persona può offrire nella propria esperienza quotidiana.
La novità di questo testo non risiede esclusivamente nella rivelazione di notizie sconvolgenti o inedite.
Quanto nella consapevolezza che la memoria possa divenire storia.
Grazie all’ottenimento di una giustizia che non ha scadenza. Neppure dopo decenni di impunità intercorsi dai fatti: crimini contro l’umanità.
Un’opportunità che si realizza attraverso la condotta di persone normali che hanno semplicemente creduto alla coerenza delle proprie azioni.
Roberto Oligeri e Marco De Paolis sono testimoni oculari di questo percorso.
Nella piena consapevolezza di stare dalla parte giusta.
Prima di concludere queste riflessioni, affiorano le parole di Roberto Saviano, nel giorno dei funerali di Andrea Purgatori, testimone e maestro di questo giornalismo.
Vissuto e condiviso dalla stessa Pini: “trovare e usare gli strumenti utili per stare dalla parte giusta.”
Una scelta per la parte migliore della nostra vita.
Che ci riporta ancora alla citazione evangelica che precede la prima pagina di questo libro.
Buona lettura.