“I clown sono amici dei bambini, rubano la malinconia. Tu pensa che è estate, buono è che la tua cameretta non c’ha tetto, con il caldo che fa. E poi, magari il pozzo è un passaggio che ci cadi dentro e ti porta in un giardino segreto o in un paese tipo quello di Alice.”
Il passaggio è stralciato da un dialogo di nonna Antonia Costa, rivolta nei toni rassicuranti alla nipotina Isabella. In preda di reiterati sogni da incubi durante la sua prolungata vacanza nella casa dei nonni materni.
In una estate da ricordare del 1981 in una assolata e proletaria Torino.
Entrambe con l’intercorso divario generazionale, sono protagoniste in uno speciale romanzo, pubblicato lo scorso ventiquattro aprile.
La stanza di Natalia, l’ultimo lavoro di Monica Gentile in uscita per i tipi di Giunti editore, è una incantevole visitazione nella portata taumaturgica dell’immaginazione.
Uno stile di vita nutrito con l’amore per le storie e i loro autori, le scrittrici.
Un sentimento capace di supplire e arginare le criticità, le debolezze dell’era moderna.
Minata strutturalmente in una sua principale dorsale formativa: la famiglia.
La trama parte nel profondo sud d’Italia, ad Agrigento, dove improvvisamente una famiglia implode per l’improvviso abbandono di Adua. Moglie dell’avvocato Franco Fraginesi, madre di Isabella di dieci anni.
L’evento è traumatico per la bambina. All’uscita di scuola trova il padre che nel condurla a casa in auto, cerca di giustificare, senza riuscirvi, l’improvvisa partenza della madre.
Questo inaspettato evento devasta la routine quotidiana di casa Fraginesi.
Il lavoro totalizzante del legale rende ingestibile tutto ciò che attiene le attività di sua figlia Isabella.
Che viene spedita anzitempo in vacanza, alla casa dei nonni a Torino.
Una seconda casa nella memoria e nelle aspettative di Isabella. Soprattutto per la presenza del suo giovane zio Alfredo: appena maggiorenne, di solo otto anni più grande.
Oltre Alfredo che suscita nella nipotina una sorta d’infatuazione, simile a una prima “cotta”, ad accogliere Isabina – uno fra i vezzeggiativi più usati – ci sono nonno Pacifico, soprattutto nonna Antonia.
Quest’ultima incarna, probabilmente, l’ultimo baluardo di uno stereotipo culturale collegato all’idea della famiglia. Che ha segnato quella generazione nata nel secondo dopoguerra italiano. Antonia Costa è una grande lavoratrice. Non si risparmia per la tenuta – ad ampia accezione del termine – della famiglia.
Lavora da sarta e come donna delle pulizie alla casa editrice Einaudi.
Quest’ultimo impegno nelle dimore dei libri e dei loro autori, l’ha specializzata nel coniare storie inedite e fantastiche. Circa improbabili stili di vita assunti dai più grandi nomi della letteratura italiana. Da Italo Calvino che impazzisce per le alici fritte a Elsa Morante presa per tutti i tipi di gatti. Sino a Natalia Ginzburg che scrive isolata in una stanza dove accoglie solo bambini.
Le fantasiose, geniali invenzioni di Nonna Antonia evocano un rifugio incantato: l’approdo sicuro per le acque infide di una realtà agitata.
Nella quale si dimena la piccola Magaredda.
La sua crescente renitenza al mondo degli adulti, in particolar modo nei confronti della madre, disconosciuta nel suo ruolo, non solo per la (legittima) percezione d’abbandono;
la induce in una crescente insubordinazione verso le regole ferree di Antonia.
Una rivolta perpetuata in una serie di sabotaggi e monellerie, descritte con la sua voce narrante.
Nella prosa sciolta dell’autrice: una leggerezza che non incrocia mai la superficialità.
L’audace curiosità di Isabella, inconsapevole dei gravi pericoli, insiti nel mondo degli adulti, inaugurerà la parte conclusiva del libro.
Dove una gradevole osmosi di fantasy e noir incontrerà i temi cruciali del passaggio generazionale.
Decisivo nella scelta genitoriale che impatta – con ricadute importanti – nella formazione della personalità dei figli.
Una naturale evoluzione dove i genitori non compiono miracoli. Forniscono indirizzi ai figli. Talvolta poco chiari o non completi.
“Ogni narrazione fa un percorso prima d’incontrare il lettore.”
Nella prosa magnetica di Monica Gentile risalta, oltre una importante sensibilità narrativa, forte di una interiorizzazione antropologica, il valore della gratitudine.
La riconoscenza. Un valore aggiunto che amplia gli orizzonti della narrativa.
Illuminata dai grandi autori, italiani ed esteri.
Un pozzo di risorse letterarie immaginifiche.
Capaci di lenire e colmare mancanze e sofferenze, diversamente irreversibili.